Il mito dello star bene da soli | Roberta Martini

Il mito dello star bene da soli

Pubblicato il 9 Aprile 2025 in Syntropia

Vorrei oggi parlarvi di cose “scomode”. Penso che in questa epoca c’è tanto da scomodare.

Per le persone di questo tempo, il senso è sempre dato proiettandolo nel Futuro. Ma nel futuro la negatività e le emozioni tristi vengono negate. Così non viviamo il presente.

Con l’avvento del digitale, inoltre, c’è in atto uno scivolamento dei rapporti che abbiamo basato sulla fiducia verso rapporti basati sulla sicurezza digitale.

A mio avviso, la maggior parte delle persone è ancora inconsapevole delle premesse che ho evidenziato e, conseguentemente, stanno adottando un tratto sociale emergente di “narcinismo” (costituito dal sincretismo di idolatria dell’IO, ovvero narcisismo e cinismo– neologismo di Colette Soler), per sopravvivere.

Dopo anni in cui si è abusato di parole quali connessione e interdipendenza, soprattutto nelle organizzazioni, nella realtà dei fatti prevale un’idea: la vita adulta realizza sé stessa con pienezza, in modo indipendente, senza l’altro.

 

Questo modo di re-agire delle persone non funziona.

È un’impostura perché nessuna vita è indipendente dall’altro. Quando nasciamo, la fiducia è un atto vitale, e non potremmo sopravvivere senza di essa. E la fiducia comporta un affidarsi all’altro.

 

È altresì un dato di fatto che in quest’epoca siamo figli di una sfiducia acquisita.

Non siamo, inoltre, equipaggiati moralmente e politicamente per affrontare il gigante del digitale.

 

Come cambiare questo squilibrio tra ciò che viviamo e ciò di cui abbiamo bisogno per stare bene?

  • Togliamoci dall’isolamento sociale.

Tutti abbiamo bisogno di sentirci visti, accolti, curati.

Abbiamo bisogno degli altri per sopravvivere. Le ricerche suggeriscono che la solitudine accelera la possibilità di sviluppare malattie mentali come, per esempio, la depressione.

Perché allora cerchiamo la solitudine?

Ci sono svariati motivi che proverò a evidenziare:

 

  1. Abbiamo un approccio individualista, in rapidissima crescita.

Si sta insinuando un pensiero delirante che ci sollecita a comprendere il mondo, non attraverso una sana inquietudine nei desideri e nei propositi, ma attraverso le credenze. Questo ci sta portando a cadere nell’idea di come il mondo dovrebbe essere. Con la credenza immaginiamo un mondo dietro al mondo per salvarci dalla vita presente.

Stiamo attraversando un tempo paradossalmente idolatrico, l’IO è il nostro idolo maggiore.

La conseguenza è non sentire nessun filo che ci lega all’altro, l’IO diventa il protagonista della vita, ovvero ce la cantiamo e suoniamo.

Nessuno sceglie la propria epoca, ma siamo responsabili di questa epoca che non abbiamo scelto.

 

  1. Non sappiamo chiedere aiuto. Per chiedere aiuto dobbiamo sdoganare la nostra fragilità cognitiva, ovvero accettare che sbagliamo, che non sempre ce ne accorgiamo in tempo e che non siamo costantemente brillanti come vorremmo. E se non bastasse dobbiamo rischiare di esporre il fianco all’altro, perdendo il nostro “credito”. Grazie alle nostre difese innate di fronte alla minaccia e/o pericolo – reazioni istintive (fight-flight-freeze) – fantastichiamo di non avere più bisogno degli altri, nel fare le cose insieme, ancor di più nella difficoltà.

In realtà la riconoscenza è rivelatrice di una posizione sazia della persona.

Ci disarma, è un gesto rivolto all’altro, ci parla di una centralità di noi che ci stupisce.

Dire grazie cambia la chimica del cervello.

Ha una potenza percussiva per abbattere il cinismo e il narcisismo.

Esalta l’unicità dell’altro, valorizzandola.

Disarmiamo le nostre menti, per disarmare le nostre parole, per disarmare le nostre relazioni, imparando l’esercizio della gratitudine.

 

 

  1. Viviamo i problemi, le difficoltà, il disagio, volendo nascondere e/o evitare la tristezza. Non vogliamo più vivere un’esistenza esposta ai dolori della vita.

Non c’è più un confronto comparativo tra crescita con il dolore e crescita in assenza di dolore. C’è in atto un confronto competitivo tra vivere prendendosi cura del dolore e vivere riempiendo la nostra esistenza nella ricerca del piacere.

Se anestetizziamo il dolore, però, pagheremo un caro prezzo. Magari potremo essere eccitati ma certamente rischiamo di disimparare nel provare la gioia piena.

 

L’utilizzo così rapido delle macchine non sta contenendo questo desiderio, anzi, lo sta assecondando. L’AI per ora produce soddisfazione e accresce la nostra “libido”, senza contraddirci…..piuttosto assecondandoci.

Non voglio demonizzare AI. Sto studiando, infatti, la “macchina” per dialogarci.

Quello che voglio evidenziare è la rapidità e la massività con cui sta entrando nelle nostre vite che acuisce un problema più importante, ovvero pensare di poter vivere senza attraversare momenti scomodi, dimenticando l’utilità che ne deriva per la nostra crescita e cambiamento.

Potremmo abbattere Il mito dello “star bene da soli” credendo nell’aspettativa che la maggior parte degli uomini e delle donne agiscano non per sopraffare ma per creare esperienze di fratellanza e comunione?

 

Ho visto un bel film: Le assaggiatrici”. Una testimonianza che a mio avviso conferma quanto penso.

Non solo evidenzia che l’essere umano si caratterizza per parti di sé “oscure” ma anche da parti “illuminate” che ci permettono di vivere a un livello più elevato. Nonostante quella realtà storica impedisse di coltivare la gentilezza, alcune donne non si sono arrese testimoniando che il contrario era, e aggiungerei, è possibile.

 

Voi cosa pensate?