Quest’anno ho deciso di rituffarmi nella massa, partecipando all’ultimo Convegno HR Community.
Non nascondo che riflettendo su quell’incontro ho provato una piccola tensione. Non mi piace quando, senza accorgermene, assumo quell’atteggiamento un po’ “snob” di chi sa tanto tanto e si sente molto solida.
Stare tra simili e diversi per lasciare che qualcosa ti tocchi, ti smuova o anche ti “sporchi” è interessante.
È vero, si, mi sento solida e soddisfatta ma questo non mi esime dal coltivare un processo fondamentale di crescita: l’impollinazione.
Nel momento storico più instabile degli ultimi decenni, vedo crescere una certezza: la convinzione che basterà mettere le competenze al centro per governare il cambiamento.
È una visione lineare, pulita, quasi rassicurante…..peccato che le organizzazioni sono sistemi complessi, fatti di persone, scelte, tensioni, aspirazioni.
E’ per questo motivo che la corsa verso le skills-based organizations merita di essere osservata con molta più attenzione, non mi convince.
Credo che, se presa come panacea, rischi di generare più danni che evoluzione nelle organizzazioni complesse.
E qui mi voglio prendere una pausa di riflessione per fare alcune valutazioni insieme a voi.
Parto da un’ovvietà, ahimè: tutto corre. Troppo.
L’AI accelera, i processi cambiano, le competenze del presente non bastano più facendoci rifugiare nel nuovo mantra : skills-based organization.
Questo nuovo mantra ha una promessa seducente : passare da ruoli statici e job description rigide a competenze fluide, ruoli componibili, mobilità interna, apprendimento continuo è utile!
I benefici potenziali sono chiari:
………tutto vero. Tutto utile…… e aggiungo io tutto “opinabile”?
Il rischio nascosto che vedo è la bussola interiore che si spegne.
Come spesso accade, la visione si fa binaria: competenze “o” persone. Invece dovremmo imparare la logica delle “e”.
Perché mettere al centro le competenze è importante, sì, ma non può avvenire a discapito dell’umanità.
La letteratura psicologica è molto chiara su questo, ovvero : l’apprendimento continuo funziona solo se supportato da un ambiente che sostiene motivazione, autonomia e senso di significato. La ricerca sul workplace learning lo conferma da anni (Industrial and Organizational Psychology Journal, 2024).
Le competenze tecniche non bastano senza competenze emotive. Una meta-analisi del 2024 evidenzia che il training delle competenze emotive migliora performance, qualità delle relazioni e benessere (BMC Psychology, 2024).
In altre parole: una workforce altamente competente ma emotivamente disorientata non è sostenibile.
Viene, quindi, premiato come fondamentale l’unione dei due pilastri formati dalle competenze “e” umanità.
Nella concretezza delle strategie HR, cosa significa?
Certamente significa accompagnare le persone a ridurre gli ostacoli interni al cambiamento, allenarle a vivere l’apprendimento continuo come opportunità.
Da qui il valore del mettere al centro le competenze senza perdere di vista, e lo dico con forza, che questo non basta.
Se le aziende investiranno solo qui, le persone perderanno la loro bussola interiore, perché il secondo pilastro, altrettanto strategico, è l’umanità personale.
Dobbiamo accettare che è necessario accompagnare ogni persona a lavorare su:
Nel frattempo, le aziende devono impegnarsi a:
Questa è psicologia del lavoro, non poesia.
Tutto il resto, perdonatemi, sono solo chiacchiere.