Ribelle | Roberta Martini

Ribelle

Pubblicato il 15 Aprile 2022 in Syntropia

Ecco un’altra parola che sta diventando importante: ribelle.

Devo dire che mi urta un po’, nonostante ne colga l’intenzione positiva.

Francesca Gino, docente italiana all’Harvard Business School di Boston nel suo libro delinea il ribelle positivo: “quello che va contro la tradizione e la routine, portando innovazioni preziose in azienda”.

Questa parola viene utilizzata nel contesto organizzativo, in questi tempi recenti, per indicare quelle persone che infrangono le regole, chi ha pensieri che suscitano nei più uno “schiaffo” emotivo, ovvero riflessioni personali che mettono in discussione il senso comune della maggioranza.

Mi urta perché mi sento una persona con queste caratteristiche ma non mi definirei ribelle, semplicemente una persona autonoma, che cerca, con competenza, uno scopo rilevante nel proprio agire.

Mi viene naturale pensare a proposte/soluzioni che rappresentino le mie scelte e fortunatamente siccome gli esseri umani sono differenti, le mie riflessioni sono diverse da quelle dei più, talvolta… frequentemente… spesso… dipende!

Questa enfasi posta recentemente sul tema del “ribelle” è uno tra i più grossi ostacoli al raggiungimento di risultati rilevanti.

Che utilità riveste, considerarmi ribelle? Qual è il rischio a cui vengo sottoposta?

Questa è una delle mie caratteristiche ed è una possibile risposta all’ambiente, non l’unica forse, certamente una tra le più distintive.

Agire in base alle proprie scelte non significa contrapporre l’autonomia all’interdipendenza con gli altri.

Significa tutt’al più avere l’attitudine di far sentire la propria voce, per scambiare idee su come proseguire, consapevoli che verrà ben accolta, perché allenati ad ascoltare, fare domande, evidenziare i propri spazi di non conoscenza.

Per la mia esperienza, avere questa fantomatica ribellione nella testa e nel cuore, significa semplicemente:  ci sentiamo a nostro agio nell’autonomia e siamo allenati a esplorare, perché non ci spaventa. Abbiamo la capacità di provare e vedere le cose frequentemente da nuove prospettive.

Se poi vogliamo osservare gli effetti di questo comportamento potremmo sintetizzarlo nell’attitudine di rimettersi con una certa sollecitudine in movimento.

Oggi il ribelle viene guardato come la panacea dei sistemi viventi per rompere lo status quo.

Perché?

La prospettiva è altra!

Si arriva a rompere lo status quo, se necessario, quando una tale attitudine viene “miscelata” per integrarsi, con un’altra preferenziale di stabilità.

Uno dei miei Maestri dice:” si può spingersi al cambiamento, senza perdere l’equilibrio, quando abbiamo una solida stabilità”.

Stabilità e cambiamento sono due complementarietà non polarità.

Abbiamo bisogno di agio, la nostra-confort zone, così come abbiamo bisogno di energia, stimoli, sollecitazioni dalla nostra-learning zone.

Chiamatemi pure ribelle se vi piace, ma non parlate di me in opposizione agli altri: gli stabili. Uniti – Insieme siamo una forza.

Rischiamo di non concludere nulla, stigmatizzati, disuniti, contrapposti.

Se il ribelle viene sollecitato dall’organizzazione ad agire come ribelle ad oltranza, questo potrebbe passare da una posizione di osservatore/propositore di cose nuove a un atteggiamento critico/distruttivo.

Da una parte un ribelle non potrà essere sempre ribelle, avendo l’essere umano bisogno di stabilità per andare verso il cambiamento senza inciampare rovinosamente. Dall’altra potrebbe non essere necessario, magari il tesoro è in ciò che già c’è.

Il ribelle combina sperimentazione con coraggio. Non il coraggio di essere eroe (impavido ad ogni costo), semplicemente il coraggio di mettere a nudo la propria non conoscenza, gli errori e la propria vulnerabilità.

Potrei non avere sempre e comunque coraggio, ma sono umana, non disumana.