Utopie Realistiche | Roberta Martini

Utopie Realistiche

Pubblicato il 19 Maggio 2022 in Syntropia

L’inchiesta pubblicata sulla Repubblica dal titolo “le grandi dimissioni”, rimette al centro una tendenza emergente: i giovani, e non solo, sono disposti a lasciare il posto fisso, anche senza un piano B.

Si è verificata una accelerazione tecnologica.

Si è verificata una accelerazione dei processi di mutamento sociale (Hartmut Rosa, direttore del Max-Weber-Kolleg, Institute for Advanced Study, dell’Università di Erfurt).

Si è verificata una accelerazione dei ritmi della vita quotidiana.

Tutto questo ha creato in noi un’ansia sociale diffusa.

“L’ansia è diventata una sorta di alter ego dell’incertezza”. (Carmen Leccardi, sociologa all’Università degli Studi di Milano – Bicocca)

E’ proprio vero che non c’è una luce in fondo al tunnel?

La pandemia, con il suo confinamento, ci ha fatto perdere la strutturazione del tempo, creando un vuoto dalle consuetudini, dai ritmi, dalle relazioni, per riflettere su noi stessi, con pensiero critico.

Il fenomeno della Great Resignation è in questa direzione (Anthony Klotz, professore di management del Texas).

Le istituzioni sociali (lavoro) ci chiedono tempo in cambio di un senso e di un accrescimento di identità. Con la precarizzazione del lavoro, però, le persone sentono che il differimento della gratificazione – rinuncio al piacere oggi in vista di una soddisfazione domani – diverrà sempre più una promessa non mantenuta, non riuscendo a conseguire un’indipendenza economica.

La generazione Y è portatrice di nuove richieste.

“Non sono più disposti a sacrificarsi in nome del lavoro. Hanno compreso che il proprio valore non dipende né dalla propria impiegabilità né dalla capacità di adattarsi a qualunque circostanza…” questi con il suo commento sulla yolo economy (yolo: acronimo di you only live once, si vive una volta sola) alcuni dei concetti di Michela Marzano su La Stampa.

Le organizzazioni stanno valutando nuove strategie di retention, per evitare di perdere le persone.

E’ proprio vero che non c’è una luce in fondo al tunnel?

La pandemia ha portato un’opportunità: pensare ad un mondo alternativo.

Come affermava Z. Bauman (sociologo, psicologo e accademico):” Non c’è libertà che vada a braccetto con la certezza.”

Quali sono le sfide che incombono?

Le organizzazioni dovranno essere vigili.

Se le organizzazioni non terranno conto di essere in un contesto in grande mutamento, correranno un pericolo evidente perché l’azienda rischia di perdere attrattiva.

Il Professore Paul Harvey, docente della University of New Hampshire ha proposto, alla fine del 2019, una teoria: gli under – quaranta sono infelici.

Sostiene, con i suoi studi, che questa generazione definita GYPSY – Gen Y Protagonists & Special Yuppies – “è una tipologia unica di yuppie, uno che pensa di essere il protagonista speciale di una storia altrettanto molto speciale”. Il problema dei GYPSY appare questo: si sentono speciali. Sulla base di aspettative di vita assai superiori alla realtà delle cose non godono a pieno della vita. Il professore aggiunge: “Queste percezioni sono spesso basate su un senso infondato di superiorità e merito. Gli è stato fatto credere di poter ragionare così, forse perché la loro autostima è stata pompata durante la crescita”.

Non condivido i risultati della ricerca condotta dal professore sui GYPSY. Seppur sono elaborazioni del 2019, quando la pandemia cominciava a far capolino.

E’ proprio vero che non c’è una luce in fondo al tunnel?

La pandemia ha avuto un ruolo centrale nell’affermazione di una nuova tendenza che non chiamerei per ora nuovo paradigma.

Non si può ormai trascurare quello che sembra il segnale di un malessere diffuso soprattutto tra le fasce dei più giovani.

La pandemia ha dato un tempo per capire se il lavoro, le relazioni intessute all’interno della comunità organizzativa e le prospettive di carriera soddisfino.

Il sistema valoriale che ha guidato le scelte lavorative di baby boomers e generazione X è entrato in crisi soppiantato da una nuova propensione che mette al primo posto la salvaguardia della qualità della vita dove l’aspetto economico, sebbene ancora centrale, è subordinato alla salute psico-fisica.

Emerge l’importanza di ricentrarsi su di sé e sugli affetti.

Emerge una riflessione per rivendicare nel mondo lavorativo la propria autentica vocazione.

Non parlerei solo di aspettative, come cita il professore, bensì di prospettive. I giovani sono alla ricerca di nuove possibilità per il Futuro, di come costruirle e come sollecitare la società, nel senso più amplio del termine, a co-costruirle.

In questo modo potrebbero contribuire a far cambiare i paradigmi, del lavoro, della vita sociale.

Vorrei onorare i loro sforzi per creare un Futuro.

Sono richieste adesso attenzione alla cura della persona: ascolto, valorizzazione del singolo e flessibilità.

Anche se le multinazionali arrancano attualmente a stare al passo, è necessario un cambiamento culturale, senza indugio.

La generazione Y vuole trovare un posto positivo con relazioni sociali non tossiche;

La tossicità è data da un management che si sente ancora portatore dei risultati, attraverso il team. Questa è storia passata.

E’ necessario legittimare un modello organizzativo che è basato sul gruppo come unità di analisi.

Questo ha a che vedere con la creazione, il coordinamento e il controllo di un senso condiviso di “essere noi”. La relazione è costruita nella reciprocità, con scambio di informazioni e feedback.

Il leader e i follower sono partner in questa relazione e hanno quindi la capacità di darsi a vicenda potere ed energia.

Osservo poco frequentemente, ahimè, il management “ossessionato” dalla domanda su come creare team a misura delle aspettative dei membri del team stesso.

Sento, invece, i C – level domandarsi come ingaggiare l’organizzazione, da una posizione di superiorità e non di reciprocità.

Non immagino organizzazioni senza gerarchia, semplicemente le organizzazioni dovrebbero disgregare volontariamente la piramide gerarchica verso una leadership autorevole diffusa e orizzontale.

Un dato emerge prepotentemente in questa direzione: spesso chi si dimette tra i giovani, e non solo, lo fa per lasciare il proprio responsabile o gruppo di lavoro.

 

Gli effetti positivi di questo rinnovato modello organizzativo potrebbero essere al passo con i bisogni emergenti:

  • Un modello organizzativo ad alta flessibilità: smartworking e non remote working, favorendo nei fatti la scelta di risiedere lontano dalle città in cui sono fisicamente le aziende, grazie ad un lavoro per obiettivi e non per tempo speso in ufficio.

Mi pare, almeno in Italia un dato ancora troppo sconosciuto;

  • Purpose: le persone cercano un maggior allineamento ai valori aziendali, desiderando lavorare per aziende che scelgono di avere un maggior impatto in termini di responsabilità d’impresa, in modo coerente, strutturato e non raffazzonato.

Dopo il trauma collettivo della pandemia, ciascuno sente più di prima l’urgenza di trovare nella quotidianità organizzativa un maggior senso/significato nella propria vita professionale. Ci si ascolta di più, nei propri bisogni profondi.

Poche organizzazioni stanno mettendo nuovamente al centro delle priorità strategiche questi spazi di costruzione di un senso condiviso.

  • Diversity: se al primo posto c’è la qualità della vita per la generazione Y e non solo, è necessario lasciare che sia il lavoratore a portare le proprie passioni e la sua unicità, favorendo la valorizzazione delle differenze delle persone ed evitando l’appiattimento delle competenze.

I processi e le procedure andranno migliorati, tenendo conto di questo.

Gli stakeholders sono propensi a questi continui investimenti per adattare i processi ai diversi e costanti bisogni della comunità organizzativa?

I CEO saranno abili ascoltatori ed esploratori dei bisogni della Comunità organizzativa, con orizzonti più lontani?

  • Territori: Milano e Roma si dovranno interrogare e attrezzare su come diventare attrattive, se non vogliono rischiare di diventare città fantasma.

Concludo ponendomi alcune domande:

  • Qual è il rischio / opportunità per i giovani di buttare il cuore oltre l’ostacolo?
  • “Qual è il senso di cercare di capire cosa resterà dell’approccio prepandemico per l’organizzazione?”

Non ho certezze bensì solo dubbi a cui prestare attenzione e cura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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