L’INCIAMPO NEL PENSARE DIVERSAMENTE | Roberta Martini

L’INCIAMPO NEL PENSARE DIVERSAMENTE

Pubblicato il 18 Ottobre 2022 in Syntropia

E’ imperativo: dobbiamo apprendere nuove modalità di pensiero per affrontare questo periodo caratterizzato da una situazione indefinita quasi caotica, sicuramente stressante per molti di noi.

Come fare, quindi, per acquisire questa capacità e come possiamo fare per sperimentarci in questa direzione? Quale attitudine mentale agevolerà lo sviluppo quotidiano di questa abilità?

Partirò da una strategia che riduce e non aggiunge, lasciando questa seconda in divenire. Un percorso che focalizza l’attenzione sulla necessità di ridurre l’impatto su di noi delle convinzioni che posso ancora definire come tabù sociale, anche se questo significa complicarsi la vita toccando temi che non dovremmo toccare.

La parola tabù significa una convenienza sociale una sorta di interdizione, divieto sacrale di fare certe cose, di pronunciare certe parole, per motivi religiosi o di più generica superstizione o “millantata moralità”.

Parliamo di “nuova strategia” perché non ancora usuale, poco praticata se non dimenticata…

Questa strategia spera anche nell’effetto farfalla (in sistemi dinamici non lineari, infinitesime variazioni nelle condizioni iniziali producono variazioni grandi e crescenti nel comportamento successivo dei suddetti sistemi).

Seguirò, perciò, una modalità di esplorazione empirica che parte dall’osservazione dei fenomeni, dall’individuazione delle eventuali ricorrenze degli schemi – pattern -, fino ad arrivare a definire le soluzioni emergenti.

Tutti noi continuiamo a sostenere che “sbagliare e fallire sono passaggi indispensabili per crescere e cambiare”. In pratica tutti preferiamo crescere attraverso esperienze di successo. Da qui il passo è veramente breve al non essere propensi ad accettare nuove sperimentazioni che potrebbero portare ad eventuali fallimenti– unconscious bias: avversione alla perdita.

Possiamo affermare che per cambiare punto di vista è necessario trasformare il nostro approccio al fallimento? E cosa significa concretamente cambiare il nostro approccio al fallimento?

Sintetizzo cosa emerge da studi scientifici al riguardo – neurobiologia dell’errore – con una affermazione: “Il nostro cervello percepisce gli sbagli e cerca di trarre successo dai nostri fallimenti”.

Alcune scoperte del 1990 mostrano come il nostro cervello abbia delle reti specifiche per accogliere l’errore, elaborarlo e attivare una presa di coscienza.

Quando il cervello si accorge di sbagliare emette un’onda negativa – ERN, Error Related Negativity – che fa emergere la discordanza tra risultato e previsione. Il nostro cervello identifica fin da subito l’errore.

Ci accorgiamo dell’errore tuttavia non mentre lo si realizza piuttosto ad azione conclusa. Per questo motivo il cervello reagisce e crea un’altra risposta diversa, l’onda positiva – PE, Error Positivity – il meccanismo che permette di rivalutare in modo cosciente quanto successo e adattare strategie e comportamenti.

E’ importante considerare che il nostro cervello pesa circa il 2% di massa corporea ma per funzionare consuma circa il 20% di glucosio. In questa direzione sono da considerare alcuni studi condotti da Daniel Kahneman che parlano di “pensieri lenti e veloci”.

L’essere umano è provvisto di due modalità di pensiero:

  1. Sistema 1, un sistema soprannominato intuitivo e veloce che opera in fretta e automaticamente, con poco o nessuno sforzo e nessun sistema di controllo volontario;
  2. Sistema 2, un sistema soprannominato analitico e lento, che indirizza l’attenzione verso attività mentali complesse, che richiedono concentrazione e sforzo.

Diventa evidente come ricostruire una realtà coerente con quanto si è creduto fino a quel giorno richiede meno energie, ci permette di mantenere una certa fluidità cognitiva e di rispondere rapidamente alle sfide che incontriamo (via veloce e non dispendiosa = sistema 1) piuttosto che rimettersi in gioco ad ogni istante con nuove valutazioni (via lenta e faticosa = sistema2).

In sintesi:

  • la neurobiologia ha attestato che il nostro cervello è abilitato a identificare l’errore. Proprio per questo allarghiamo i saperi attraverso l’apprendimento dalle esperienze di errore;
  • abbiamo due modalità di pensiero: una che ci permette di vivere senza mettere in dubbio ogni cosa, ma per converso è infarcita di convinzioni errate proprio perché viaggia prevalentemente sull’intuizione; l’altra, quella lenta, è abilitata per identificare gli errori e a confrontare lo sbaglio con le nostre previsioni alfine di imparare dalle esperienze.

Se sapessimo come funziona il nostro cervello, la nostra percezione dell’errore e/o fallimento potrebbe modificarsi?

Sapere che siamo attrezzati per identificare l’errore e che questa identificazione ci permette un secondo ed ulteriore passaggio, ossia apprendere perché si è verificato un errore cambierebbe la nostra percezione del fallimento?

A livello logico razionale è indubbio che emergerebbe una diversa percezione del significato del fallimento, ovvero una strada che è possibile percorrere, perché dotati di strumenti adeguati (il nostro cervello), per affrontare questo viaggio.

Dobbiamo percepire il fallimento come un’esperienza che ci consente di fermarci, riflettere su quanto atteso e accaduto, correlare questa discrepanza con quello che siamo oggi e vogliamo diventare, ossia l’occasione di armonizzare il nostro stile decisionale, i risultati conseguiti, la motivazione e il nostro scopo nel mondo

Accettando come funziona il nostro cervello e questo “nuovo” punto di vista sarà possibile non ridurre le occasioni di apprendimento. Emerge un sistema naturale di apprendimento, una preziosa pedagogia dell’inciampo: si chiama o si dovrebbe chiamare anche laboratorio di apprendimento. Sarà possibile così vedere il nostro e altrui fallimento con meno durezza, come un momento per ripartire con maggiori energie e una direzione ancora più chiara.

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