Durante le vacanze natalizie mi sono concessa una “scorpacciata” di film al cinema.
Ne ho visti due bellissimi, di cui voglio parlarvi, guardandoli rispetto alla prospettiva di osservazione dei comportamenti umani.
I film ci sollecitano e ci allenano a ricorrere al mondo fiabesco. Per questo credo che il cinema faccia molto bene, ancor di più in questi tempi incerti.
Perché la fiaba è utile per le persone adulte?
La fiaba è vicina al sogno, un sogno lucido, che possiamo guidare, interrompere, quando vogliamo ma da cui possiamo accelerare processi di apprendimento dati in prima istanza dal gioco e dall’arte proprio perché inducono altri stati di coscienza con relativi inshight (Alfonso Maurizio Iacono).
Le otto montagne: vivere nella libertà e nel mistero.
È un film tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti del 2017, che racconta la storia di una profonda amicizia nata ai piedi del Monte Rosa tra Pietro, ragazzino di città, e Bruno, suo coetaneo che vive a Grana sui monti della Valle D’Aosta.
E’ un film che si snoda su molteplici livelli.
Ci accompagna a comprendere come il paesaggio vada oltre lo sguardo e la contemplazione. La montagna, in questo film, si carica, infatti, di affetti e memoria e diventa elemento dell’identità dei due protagonisti.
Il tema centrale, che mi ha rapita durante la visione, per come viene raccontato, è quello che vivere vuol dire incontrare se stessi e che c’è qualche cosa di malinconico nel pensiero di non farlo – “Chi impara di più su se stesso? Chi scala la montagna più alta, il monte Sumeru, oppure chi gira il mondo per scalare le otto montagne, intorno ad esso?” – antica leggenda nepalese.
Pietro e Bruno, amici d’infanzia e ora uomini, hanno un modo differente di trovare come diventare loro stessi.
Questo splendido film riprende il pensiero di Jean Bertrand Pontalis: “Per avere qualche speranza di essere noi stessi, dobbiamo avere molti luoghi dentro di noi”. La nostra storia e la nostra psiche sono anche una geografia, ossia siamo inseparabili dai nostri luoghi, per amore o per rancore e, tendenzialmente, il nostro luogo non è mai uno solo.
Ciascuno di noi crea con il paesaggio un rapporto personale e intimo.
Per Bruno capire come vivere e non lasciarsi vivere significa collocare questa ricerca di se stesso nella mappa conosciuta del reale, la montagna dove è nato. Per questo protagonista trovare la propria “isola interiore” in cui si è padroni di se stessi, potrebbe dover comportare il vivere una via del mistero assoluto e della libertà assoluta, costi quel che costi – “So vivere da solo, non è poca cosa…….questa montagna non mi ha mai fatto male…”.
Per Pietro capire come vivere e non lasciarsi vivere comporta intraprendere un cammino di mutazione, ossia non collocare questa ricerca di sé nella mappa conosciuta del reale, la montagna dove ha vissuto momenti determinanti della sua crescita, ma intuire in cosa, questa ricerca di sé avrebbe modificato la mappa, l’esatto punto in cui avrebbe trovato l’appoggio per ruotare su questa mappa per farla diventare paesaggio nuovo e inimitabile.
Il film ci parla di come imprimere dei cambiamenti nelle proprie vite, perfino quando si tratta letteralmente di vita o di morte, sia esasperatamente sfuggente, se non c’è desiderio e motivazione. Racconta di come il desiderio e la motivazione non siano sufficienti, senza aver compreso quanto le nostre convinzioni individuali ci possano rendere resistenti al cambiamento. Il punto non è se le nostre convinzioni sono o non sono vere, ma finché pensiamo lo siano, ne impediamo la messa in discussione. È necessario acquisire un modo di apprendere più complesso, aumentare il proprio livello di coscienza, che permetta di guardare al cambiamento non obbligatoriamente attraverso il proprio schema.
Le 8 montagne esplora, così come “la timidezza delle chiome”, la relazione parentale e amicale, l’importanza e il senso di pienezza, che permettono di liberare le nuove potenzialità di ciascuno, grazie al rapporto con l’altro.
La timidezza delle chiome: nessuno è normale
E’ un racconto documentaristico sulla crescita di due gemelli monozigoti, Josh e Benji. Una sceneggiatura vera, concreta, reale, senza fronzoli e per questo estremamente poetica, almeno per me.
Sollecita molte riflessioni interessanti, dolci e mature. E’ un tripudio a chi vuole vivere in modo pieno.
Il film le 8 montagne si connota con le stesse caratteristiche, sebbene con un canovaccio diverso.
Entrambi descrivono l’abilità di prendere possesso della propria vita, qualunque sia, amandosi e costruendone il proprio significato: mi interessa ciò che riesco a fare, non importa ciò che non riesco a fare, personalmente sono abbastanza.
Racconta di attitudini e comportamenti che rischiamo di dare per scontati, ma che sono tanto vitali per il nostro benessere quanto per i nostri bisogni universali: appartenere, autorealizzarsi, crescere.
Parla della semplicità di essere se stessi e di come questa dotazione naturale che ci viene attribuita alla nascita renda la vita ricca di senso, profondità e bellezza. Un gran bel vivere!
Racconta di un cammino per conoscere il proprio sé con autenticità e spontaneità, per esprimersi, andando all’essenza nella comunicazione con l’altro, con una grazia inusuale.
Narra di un’idea della relazione sana. Non esiste una identità a se stante. Nel rapporto con l’altro definisco la mia identità. Ognuno di noi è una nomade nella sua identità che va custodita. Dall’altra noi siamo parte di un tutto, nomadi che hanno la capacità di riflettere in sé le altre nomadi, formando un tutto di identità ricche, complesse e comunicanti (G. Wilhelm von Leibniz).
Josh e Benji lo sanno bene. Non possono accettare di stare immobili a osservare il mondo, senza interagire, a causa della loro disabilità cognitiva, anzi corrono, gli vanno incontro, nell’urgenza del loro bisogno di crescita. Non lo respingono questo mondo, semplicemente si oppongono in modo costruttivo. Creano un rapporto con il mondo con cui si confrontano nella mediazione. Non vuol dire che non si oppongano, come frequentemente fanno i giovani per crescere. Hanno però una conoscenza ben radicata in loro: il rapporto con l’altro è così necessario che sono disposti ad affrontare i pericoli di questa relazione, in quanto unica strada per sviluppare se stessi.
Vivono una paura costruttiva. Non viene agita una paura-fuga, vedendo un mondo pieno di minacce. I due protagonisti si sforzano di comprendere le ragioni delle cose, il punto di vista dell’altro, con una dedizione, un ascolto e un’empatia da urlo. Vanno nel riconoscimento dell’altro, nel rapporto dialogico, ben intuendo che questo gesto rafforzerà la propria identità.
Il documentario fa cogliere come la dinamica del conflitto sia necessaria per andare avanti e progredire. Il conflitto, la possibile tensione che ne deriva, ci permette di passare da una identità insignificante a una identità ricca di singolarità, grazie al confronto con l’altro.
Loro sanno che non è essenziale arrivare ad una soluzione con parole che vadano bene a tutti. Sanno molto bene che il dialogo risolve i conflitti ma non necessariamente le tensioni. Non cercano di allontanare queste tensioni. Le vivono come il presupposto utile per ritornare poi a condividere le proprie prospettive a livello umano.
Questo canovaccio ci racconta dell’abilità dei due gemelli di ricorrere al mondo fiabesco.
I due fratelli investono nella loro fiaba personale di essere romani, non come antidoto alla sofferenza di un mondo talvolta ostile, ma come risorsa personale per riavvicinarsi al mondo con energia ed entusiasmo. Affrontano il dolore, lo sentono, lo vivono, anche grazie all’abilità di entrare ed uscire da questo dolore con il loro sogno lucido che interrompono quando necessario.
Ora viviamo un’ingiunzione al godimento: prendere immediatamente, per appagare i propri appetiti. È più una simulazione della vita, che non vuole fare i conti con la preoccupazione, il disagio e il dolore. Ma non c’è speranza senza preoccupazione!!!
Josh e Benji imparano a vivere al presente, lasciandosi guidare dall’intuizione per “usare ciò che loro stessi sono”. Entrambi si imbarcano nell’avventura militare, l’uno convinto di trarne un senso e significato per la propria vita. L’altro aperto alla sperimentazione. Non vogliono separarsi, sarebbe troppo doloroso. Eppure quando capiscono che la strada dell’uno non può essere anche la strada dell’altro gemello, hanno il coraggio di interrompere il progetto comune, costi quel che costi, pur di vivere una vita che li rispecchi nei propri bisogni più profondi.
Agiscono la miglior definizione di coraggio a cui potrei pensare: agire e andare avanti anche quando si ha paura.
Questi docu – film raffigurano la miglior descrizione concreta di una vita vissuta intensamente, con il pensiero del cuore, a cui potrei pensare.