Crisi d’identità delle organizzazioni | Roberta Martini

Crisi d’identità delle organizzazioni

Pubblicato il 2 Marzo 2023 in Syntropia

“Crisi d’identità delle organizzazioni” nell’agosto 2022 ho affrontato lo stesso argomento con una riflessione.

Oggi, non è più una mia opinione ma un dato visibile ai più. Per questo insisto con impegno e tenacia a riproporla perché c’è un paradosso che riguarda le generazioni attuali.

In questo momento storico, c’è una fortissima pressione sui risultati. Ho quasi la percezione che questa attenzione sia spasmodica, così snervante da portarci a una possibile mutazione del comportamento umano: vivere quotidianamente sotto stress e, quindi, imparare a non ricadere in fenomeni possibili come il burn out.

Senza abusare del termine resilienza, di cui se ne fa un gran parlare magari solo per manifestare la nostra “modernità”, mi domando: ma sarà mai possibile questa mutazione? E soprattutto: è ciò di cui abbiamo veramente bisogno e, ancor di più, vogliamo?

Tornando alla riflessione sul paradosso, osservo una tendenza diffusa nell’investire in strumenti per creare nuove modalità di lavoro – smartworking, wellbeing digitalizzazione, per citare alcuni – ideati e pensati per garantire qualità del lavoro e benessere delle persone.

La frenesia ossessiva nel presidio dei risultati può andare a braccetto con le nascenti nuove modalità di lavoro?

Molti autori che hanno analizzato e rappresentato i processi di cambiamento organizzativo delineano efficacemente la fase di transizione tra “stadi” di percorsi evolutivi più ampi.

Per accelerare il cambiamento bisogna creare situazioni di “rottura”, dotando l’organizzazione di strumenti raffinati che rispondano a bisogni impliciti dell’organizzazione stessa che, semplicemente nell’immediato in quanto ancora non evoluta, non saprà utilizzare al meglio. (John Kotter, Otto Scharmer, Edgar Schein)

Potremmo pensare che siamo nella direzione utile per definire un nuovo paradigma in cui si situa una fase dell’evoluzione delle organizzazioni e dei modelli di lavoro.

Non voglio porre l’attenzione su quali nuove modalità di lavoro si definiranno, ben venga riscrivere la nuova storia dell’organizzazione!

Quello che è rischioso è farlo attraverso un investimento “truccato”.

Le organizzazioni stanno ridisegnando le nuove modalità di lavoro senza investire nel legame tra le singole persone e l’azienda, causando, per esempio, fenomeni come il quiet quitting.

Il film “the quiet girlmostra molto bene come una relazione difficile – una delle due parti può sentirsi invisibile agli occhi dell’altra – a poco a poco si distende e fiorisce, grazie alla riduzione della distanza, con un ascolto autentico, interessato, attento alla comprensione di quello che emerge.

E’ una metafora che per analogia descrive altresì in modo efficace come fare a ricostruire le organizzazioni, senza perdersi di vista, guardandosi, nella lentezza e in una dimensione di comunità organizzativa.

Per creare e conciliare efficacemente risultati, qualità del lavoro e benessere delle persone, bisogna accettare che l’investimento vada curato giorno dopo giorno.

E’ necessario che coloro che governano l’azienda vivano questa responsabilità in una dimensione che esula dalla relazione responsabile-collaboratore-proprio team verso una dimensione più amplia di comunità organizzativa.

Il film “the quiet girl” racconta in modo magistrale come per ricomporre un legame ci sia bisogno di comprensibilità, per scrivere una nuova pagina insieme. Grazie alla parola, al dialogo, al confronto, che generano cura e attenzione nel tempo, le relazioni si distendono e ricompongono fino a portare la protagonista a far sbocciare l’autonomia e la volontà di scegliere il proprio futuro.

I coniugi Kinsella (una coppia di mezza età) ospitano Cáit, una giovane fanciulla malconcia perché trascurata, parente lontana, che viene momentaneamente allontanata dalla famiglia di origine. Questi riescono a farla fiorire, con un ascolto costante nel tempo e che cresce com’è nell’ordine naturale delle cose, fino ad arrivare a conoscere e comprendere le reciproche necessità.

I coniugi Kinsella sono un invito per i C-level: un insegnamento all’umiltà, al coraggio di prendersi la responsabilità di rallentare, fermarsi, osservare, ascoltare per conoscere veramente le necessità delle persone e poi decidere insieme.

Ripartire da zero nel dialogo con le persone, con il talento “della velocità” insieme al talento “della lentezza” è la sfida di “adattamento” dei C-level per governare davvero questa transizione, verso nuove modalità di lavoro.

Perché è una sfida di “adattamento” per i C-level?

Negli anni ho lavorato con un numero elevato di persone che ricoprono ruoli apicali e ho colto una caratteristica che li accomuna: un rapporto virtuoso e accelerato con il tempo, rispetto alla dimensione del pensare, sentire e agire. Questa qualità ha permesso loro di poter governare le organizzazioni efficacemente, con agio personale e professionale.

Nei decenni passati è stato il loro talento principale per poter governare armoniosamente le organizzazioni.

Questo talento fioriva in ambienti più stabili degli odierni, meno caoticamente veloci, non in continuo cambiamento dinamico.

Agire in tempi moderni questo talento richiede una grande sfida di adattamento, proprio perché lo scenario circostante non è stabile ma in costante divenire.

Accelerare, quando il mondo intorno a noi continua a procedere con una velocità e una competizione più che sproporzionata, potrebbe non essere più il solo talento prioritario a cui ricorrere.

Questo talento da solo diventa degenerativo.

Solo quando possiamo lavorare con il “talento della velocità” e il “talento della lentezza” possiamo risolvere problemi difficili.

È necessario sviluppare questi due lati di noi stessi.

Non si tratta di trovare un equilibrio ma di lavorare su ciascuno di essi, lasciarli crescere insieme.

La lentezza, praticata dal rallentare diverrà il muscolo da sviluppare per i C-level.

“Rallentare” non vuol significare semplicemente introdurre delle pause nel proprio agire.

Quella sensazione di impazienza, noia, inutilità nella relazione con gli altri ritenuti non rapidi, fulminei, veloci, frequentemente attanaglia i C-level ma può trasformarsi da nemica in amica se la si riconosce, accoglie e comprende, come un nuovo comportamento.

La definirei come un’attitudine mentale da sviluppare in relazione al tempo, nella relazione con gli altri.

E’ proprio nei momenti in cui i C-level si compiacciono della loro abilità di essere veloci in tutto – nel pensare, nel decidere, nell’agire – che rischiamo di utilizzare il loro talento in modo degenerativo.

L’azione veloce non è sufficiente, poiché è possibile perdere la focalizzazione su cosa osservare e sapere per motivarsi e ispirarsi ma ancora di più per motivare e ispirare le persone all’autonomia realizzativa ed alla responsabilizzazione.

Ricorro ancora ad una sceneggiatura offertami da un altro splendido film: “Gli spiriti dell’isola”.

Su un’isola remota al largo della costa irlandese, Pádraic è sconvolto quando il suo compagno Colm interrompe improvvisamente la loro amicizia di una vita. Pádraic si propone di recuperare il rapporto danneggiato con ogni mezzo necessario.

Questo film ci accompagna a cogliere il viaggio di sola andata verso l’oblio. Quando i protagonisti perdono il contatto con il punto di vista dell’altro, quando si sentono così nel giusto nell’osservazione del reale, dimenticando la propria soggettività che inevitabilmente li influenza, quando assecondano solo la loro velocità di proporre soluzioni per risolvere problemi, i protagonisti del film come i C-level costruiscono muri invalicabili che poi rischiano di sfociare, come infatti accade, in un conflitto distruttivo e/o un allontanamento fisico o un distacco mentale delle persone dell’organizzazione, senza rimedio/ritorno.

Ripartiamo da zero nell’osservare la necessità organizzativa contemporanea per riscrivere nuove modalità di lavoro invece di fare un’operazione “truccata”, con la moltiplicazione di disordinate iniziative aziendali rivolte al benessere e alla qualità del lavoro.